Scherzi da prete
Antonio Albarelli“Il Vaticano aveva già impiegato più di trecento anni ad ammettere i suoi torti nel processo a Galileo. Questa volta avrà impiegato più di mezzo secolo ad ammettere che due millenni di un insegnamento ostile al “popolo deicida” hanno preparato una delle più grandi catastrofi della storia.”
In questi termini si è espresso ‘Le Monde’ sulla lettura critica della Chiesa riguardo alle proprie responsabilità sull’Olocausto. Un mea culpa atteso da tempo e finalmente giunto anche se in toni smorzati (si è taciuto sul silenzio dell’allora Pontefice Pio XII) ma ugualmente fortemente autocritico.
Del resto l’attuale pontificato ci aveva di già abituati a riletture sulle proprie posizioni storiche, rompendo quel muro di apologetica acritica andatosi a costruire da Adriano VI a Paolo VI.
E’ nella lettera “Tertio millennio adveniente” (1994) che per la prima volta si è parlato della necessità di una “purificazione della memoria”. Da allora parecchi sono stati gli avvenimenti storici sottoposti a nuovi esami di interpretazione. Si è partito dall’inquisizione (1994), alle Crociate (feb. ’95), alle guerre di religione (Mag. ’95), alla lettera alle donne (Giu. ’95), a Lutero (Giu. ’95), fino alla recentissima sulla Shoah. Ora, a fronte di quest’apertura ad un confronto storico del tutto nuovo con un’accelerazione impensabile fino a qualche anno addietro, sembra sempre più stridere la differenza temporale che intercorre tra una Chiesa centrale, sempre più avviata verso una modernizzazione lenta ma inesorabile, e l’atavico immobilismo delle diocesi di provincia, ancora ancorate ad una realtà rurale scomparsa da tempo.
Una dimostrazione di questo ritardo è stata fornita alla nostra comunità dalla recente visita pastorale alle parrocchie cervinaresi dell’Arcivescovo Metropolita Mons. Serafino Sprovieri. La visita che si è protratta nei giorni che andavano dal 2 all’8 marzo scorso, ha visto l’Arcivescovo impegnato nei normali rituali liturgici itineranti di parrocchia ed in un solo incontro, tenutosi con i giovani, dove non era esplicitamente richiesta l’appartenenza ad organizzazioni confessionali, gruppi di preghiera o alla sola Azione Cattolica. E’ proprio da questo incontro-dibattito però che sono venuti fuori tutti i limiti di un programma organizzativo raffazzonato e fatto tanto per farlo. L’invito inoltrato, come già detto, anche a persone o gruppi (fa niente se a noi di Impronte non si è pensato; dimenticanza?) non propriamente cattolici poteva benissimo essere inteso come un segnale di apertura a realtà esterne aconfessionali, se si tralascia però il non meno significativo luogo (la chiesa di S. Potito) dove l’incontro è avvenuto. Veniamo alla cronaca.
Parrocchia di S. Potito, 4 marzo 1998, ore 19.30.
Non riuscivamo a trovare la giusta porta d’ingresso, colpa forse di un desiderio inconscio di fuga. Qualcuno ci indica come fare e finalmente entriamo. Dentro una trentina di teste ciondolanti per il sonno e corpi disperatamente alla ricerca di una impossibile posizione comoda da trovare sugli scranni. Abbiamo subito la sensazione di essere in forte ritardo; chiediamo conferma di ciò. Un ragazzo ci tranquillizza dicendoci che il tutto è iniziato da circa 10 minuti.
Cristo, (ooops, pardon)! Dormono di già?
L’Arcivescovo è pienamente lanciato in un sermone alla morfina condotto peraltro con un linguaggio da catechismo per fanciulli. Il prelato sonda soporiferamente tutte le problematiche giovanili: dal lavoro, dove tuona ‘Lavorare meno, lavorare tutti’ (giuro che sono le sue stesse parole); alla droga ed alle marginalità in genere dove mostra una evidente scarsità di informazione, soprattutto sulla situazione locale.
Nel frattempo la navata si rinfoltisce come d’incanto. L’Arcivescovo è raggiante, ma inaspettatamente don Vito Cioffi con ampi gesti delle mani fa capire che è ora di finirla. A fatica l’ospite riesce a capire che la chiesa era già stata impegnata per una funzione matrimoniale, e che gli ultimi e massicci arrivi erano per quest’ultima: è la beffa. Il viso di Monsignore si storce in una smorfia di rabbia. Qualcuno pensa ‘Ecco! adesso bestemmia!’ ma non lo fa. Si fa invece portavoce di un’iniziativa per l’occupazione lavorativa giovanile che va sotto il nome di Job Center, non ci spiega però in cosa consiste, noi lo immaginiamo come un ufficio di collocamento perfettamente inutile come quelli esistenti già istituzionalmente.
A questo punto ci chiediamo se non avessero fatto meglio ad organizzare l’incontro da qualche altra parte, visto che la Chiesa doveva essere liberata per le 19.30. La risposta è sola ed unica: misteri della fede.
Ora perché questa visita parrocchiale? Perché ogni cinque anni il vescovo ha il ‘dovere’ di incontrare i fedeli della sua diocesi per rafforzarli nella fede tramite la parola di Gesù e l’Eucarestia se ciò significa solo funzioni liturgiche ed annoianti sermoni? Perché sempre più chiusi dentro le comode mura di una sacrestia? Perché non guardare in faccia la realtà semplicemente girando per la città?
La risposta è sempre unica e sola: misteri della fede.