Terra bruciata
Nicoletta GirardiNella Savana le zebre sono nel panico solo quando il leone uccide una vittima, ma poi la paura passa e gli animali riprendono la vita normale. Cervinara non deve essere la Savana e non può cadere nell’oblio l’agguato di sabato 14 marzo che non è di certo il primo ruggito del leone né sarà l’ultimo. Ma cosa fare? Chi può fare?
E la gente, come tanti tecnici di calcio, proponeva con rabbia la propria tattica per vincere la partita contro la camorra. Luogo di queste discussioni di certo non è stata piazza ‘TRESCINE’ dove si è tenuta una manifestazione di solidarietà contro l’agguato e dove pochi sono stati sensibili nel partecipare; con rammarico faccio presente che i più a disertare sono stati commercianti, imprenditori e studenti, proprio coloro che rappresentano il lavoro e l’istruzione e quindi gli strumenti efficaci per vincere la criminalità.
Invece in via Roma dove di solito si parla dell’Audax Cervinara, delle mogli degli altri e delle ragazze da convincere, si è parlato anche del caso del sig. Mario D’Ambrosio. Ripeto solo per pochi giorni perché i nuovi fatti di cronaca rosa come quello di una nostra compaesana con troppe voglie, fa dimenticare la storia di qualche imprenditore a cui è rimasto il problema se pagare subito o a rate.
Cervinara, terra ritenuta da molti isola felice dove problemi come il racket e la disoccupazione sono considerati marginali da giornalisti che non sapendo o non volendo trattare di essi, sparano su una delle poche testimonianze di impegno giovanile rappresentata dal centro sociale ‘IMPRONTE’.
Qualcuno si chiederà cosa hanno in comune gli argomenti che sto trattando. La risposta è nel costume molto diffuso oggi di essere cittadino di Cervinara, cioè di essere privo di iniziative, di essere giudice e non imputato, di non farsi carico dei problemi che lo circondano, la cui unica esperienza è quella ‘paesana’.
Vorrei che il mio paese fosse un campo di fiori ma è solo terra bruciata dove quel poco che esiste finirà dove il rispetto per quei luoghi che ci hanno visto crescere è scomparso e dove l’amore per quelle persone che avevano posto la loro fiducia nelle generazioni seguenti è morto nel tempo, nei ricordi e nei cambiamenti.
Mi chiedo come si può a vent’anni essere già rassegnato, senza interessi, senza la voglia di gridare quello che si ha dentro, senza dire: ‘ci sono anch’io’. Ma la risposta è più semplice di quello che si pensa quando è un giovane a dire a noi coetanei: ‘siete incapaci, avete fallito, chiudete i battenti’, senza nemmeno averci provato. Da ciò mi deriva la convinzione che se il centro sociale ‘IMPRONTE’ dovesse terminare la sua utile funzione, a finire sarà la speranza di tutti i giovani che vogliono cambiare qualcosa. Noi potremo dire di averci provato.