Senza Filtro A.I.P.M

 “Ciento nienti accirettero 'o ciuccio”
 “Hundred nothing killed the donkey”

Cilicio

Piove ancora. Sono due settimane di pioggia intensa, incessante. I doccioni della chiesa riversano torrenti impetuosi dalle loro bocche mostruose. Non ho mai compreso gli scultori e le loro insane passioni per i mostri: il mostro è rappresentazione del peccato, scimmia diabolica della creazione. Ma i giovani restano affascinati da quelle figure grottesche, a testimonianza di come i tempi siano ormai degenerati, e di come il maligno sia padrone incontrastato del mondo.
Il cuore degli uomini è insozzato dal peccato, questo è un fatto ormai evidente come il succedersi del giorno e della notte. Ma i tempi sono maturi e la profezia dell’Apostolo sta ormai per compiersi. Ed ecco, l’occhio attento, reso più acuto dalla preghiera, scorge in ogni dove i sintomi, le impronte immonde, le lordure dell’Anticristo, e delle schiere di demoni che lo accompagnano, sordidi valletti. Piove, fuori dalle finestre dello scriptorium, ma i torrenti d’acqua che si inseguono lungo le gronde non lasceranno, per quanto si affatichino ad erodere la pietra un segno duraturo: la fine del mondo cancellerà questa opera di sassi e superbia al pari di quanto accadrà a tutte le opere dell’uomo. La profezia si compirà. Presto, molto presto.

I miei confratelli, persi nella loro opera di sapienza sono l’epitome di questo mondo morente: eccoli affaticarsi a trasmettere al futuro una dottrina sottile ed inutile, visto che nessuno più potrà o vorrà leggere queste parole che secoli e generazioni di dotti e fedeli studiosi hanno consegnato alla pergamena. Sanno bene che il loro lavoro è vano, eppure non lo interrompono. Solo, nel loro intento vi è qualcosa di più della mera ostinazione del bue che tira l’aratro senza curarsi di conoscere il senso del proprio lavoro. La Regola dell’Ordine vuol che il lavoro sia preghiera, e la preghiera opera infaticabile del Monaco. Allora, affaticarsi in un’opera che si sa non più necessaria, forse è la forma più alta di preghiera. O forse un atto di dissipazione definitiva. È difficile, ora che il tempo è quasi giunto al proprio tramonto, distinguere le sottili questioni teologiche che tanto hanno animato i secoli passati la vita del nostro Ordine. La mia stessa smania di parole, in questo scriptorium a stento intiepidito dal fuoco che arde nel camino della parete nord, è superflua, forse peccaminosa. Quando i Giusti saranno padroni del Mondo, la loro conoscenza sarà piena e totale, e non vi sarà bisogno di queste parole. Eppure non so impedirmi di raccontare, a me stesso, se non altro, questi giorni in cui tutti ardiamo della strana indotta dall’avvicinarsi del momento in cui la Scrittura si compirà.

Ed eccomi allora, qui nello scriptorium, mentre la pioggia scroscia all’esterno, e il tenue raschiare della pomice sulla pergamena, e il crepitare sommesso del fuoco, ed il mormorio di Fratello Everardo che compita Aristotele mi avvolgono e danno pienezza e significato alla mia presenza in questo luogo ed in questo tempo. E gli odori: la legna umida portata da Fratello Malachia, e depositata presso il camino, il sentore lieve di muffa dei libri che si manifesta ogni volta che il Fratello bibliotecario apre la porta che introduce nel luogo ove sono conservate le opere più antiche. Cosa buona sono gli odori, ed i rumori. Ma ora devo interrompere questo diario minimo della fine del mondo: Fratello Geremia ha bisogno del Computer per scaricare dei file da Internet…