Transumanze
Leandro PisanoSorvolando le rive del fiume Giordano baluginanti di armenti, a trenta metri dal suolo in una giornata afosa di giugno.
Harmlessy passing your time in the grassland away
Gli balenò innanzi come una visione improvvisa, come un personaggio di un libro di Bulgakov.
“Salute a te, buon uomo” M. riconobbe Ha-Nozri ad un tratto, nel momento in cui la luce meridiana cominciava a diradare bruscamente da tonalità diafane fino ad apparire schermata, in un fittizio senso d’eclissi destinato a svanire nell’etere liquefatto dall’umidità e dalla calura. Gli venne in mente un olio su tavola di Dalì, “Tavolo solare”, pervaso da una vena sconcertante ed ossessiva, inondato della stessa luce che si rifrangeva sul volto di colui che lo fronteggiava.
“Incontrarsi in questo luogo è sempre una piacevole sorpresa, specie in questi giorni…”, esordì Ha-Nozri.
“In questi giorni, uhmmm… Di quale calendario?”
“I miei giorni sono vergati sulla tavola malinke e wakamba.”
Le pupille lievemente dilatate di Ha-Nozri emettevano taglienti e impercettibili barbagli.
“E scommetto che per lei non scadrà nessun millennio, a breve.”
“Nella maniera più assoluta, visto che festeggerò il mio capodanno la notte del solstizio d’inverno.”
Si scoprì il costato, sollevando il consunto chitone azzurro che indossava. Si passò la mano accuratamente sullo sterno, e poi dietro sulla schiena, fino alla colonna vertebrale.
“Trentatré vertebre come i trentatré anni lunari al termine dei quali luna e sole si ricongiungeranno.”
I suoni giungevano confusi all’udito di M. Una sensazione di brulicante piattezza sonora si andava lentamente diffondendo, trascinando nella sordina i belati degli armenti sparsi sulle rive opposte del fiume. Come un’allucinazione uditiva, per un attimo a M. sembrò di avvertire in sottofondo l’organo urticante di Richard Wright, spettroscopico, nell’intermezzo di “Sheep”, dei Pink Floyd. Si sentì triste, vuoto ed infastidito. Trovò la forza per replicare:
– Classici sintomi da sincretismo religioso impellente. Ha per caso smesso di arringare le folle, sulle rive di questo fiume?
– Maalaleel aveva sessantacinque anni quando generò Iared; Maalaleel, dopo aver generato Iared, visse ancora ottocentotrenta anni e generò figli e figlie. L’intera vita di Maalaleel fu di ottocentonovantacinque anni; poi morì. L’improvviso squarcio biblico servì se non altro a spostare decisamente il tono del conversare su registri emozionali ambigui ed ingannevoli.
Ha-Nozri continuò a voce bassa, con un gesticolare ridotto e lineare, senza sobbalzi, da perfetto rètore:
“Vedi, sono sulle rive di questo fiume perché la mia anima è alla ricerca del senso di colpa. La consapevolezza di averlo perso mi ha tolto il piacere di conversare liberamente mentre magari passeggio, come Speusippo era solito fare, nel perìpato, beandomi nel discernere di zoologia e botanica, poesia e rhetorica, e discuto amabilmente con qualche discepolo dello scolarcato. Nessun senso di colpa, anche se avverto ogni volta l’assenza di qualsiasi tipo di riflesso, nella convessità oculare di chiunque mi parli, ed intravedo spesso che va depositandosi tra bulbo e retina un fondo, una patina di un biancore sabbioso. Essi parlano, ma io non sento. Essi guardano, ma io non vedo. Credo di sentirmi, sempre ed inevitabilmente, da un’altra parte.”
Le acque del fiume, opalescenti per i riflessi sghembi dell’illuminazione solare, vibravano di un’impermeabilità compatta seppure effimera, nell’assenza totale di vento. Volgendo lo sguardo al capo di Ha-Nozri, ricoperto da una fascia bianca sovrastata da una cinghia, M. capì che le frequenze accelerate della sua attività cerebrale andavano bruscamente degenerando, e stava per inoltrarsi piacevolmente in una centrifuga impazzita, senza attriti; allora cominciò a tornare a tratti sul lettino metallico della sala operatoria, ed il senso tattile dei lacci di plastica che gli cingevano forte i polsi si materializzò come un senso di combustione rapida e fragorosa. Vide i contorni sfocati di alcuni volti sudati e anonimi che lo fissavano vacui. Riusciva ad intravedere solo occhi, occhi dappertutto, perché i tratti somatici di quelle figure erano celati da mascherine quadrangolari e cuffie di plastica. E poi, in alto, su tutto, delle luci di forma ellittica, leggermente ovale, bianche, irraggianti un pallore di manicomio. Si rese conto che gli stavano squarciando lo sterno proprio mentre gli effetti dell’anestesia lentamente svanivano, verso il risveglio. In quello stato di semicoscienza provò ad urlare disperatamente, di una disperazione mai provata, tanto intensa che gli sembrò di perdere il senno in un istante, irrimediabilmente. Ma nessun urlo finì per sgorgare dal suo petto, neppure un filo di voce. Giaceva definitivamente su quella piattaforma, senza riuscire a muovere neppure un muscolo del suo corpo.
“I’ve looked over Jordan, and I have seen
Things are not what they seem.”
Nel momento in cui svanivano i camici verdi, M. ebbe come l’impressione nebulosa di trovarsi ritto sulle gambe, circondato da mattonelle quadrate bianche, nere e gialle. Nell’attimo in cui cominciava a percepire dimensionalmente volumi e distanze attorno a lui, M. alzò gli occhi al soffitto a botte, dal quale pendeva un’armatura d’acciaio che si prolungava linearmente fino a perdersi nell’oscurità della galleria, in fondo. Osservò la folla che si sporgeva su una specie di fossato, e notò i binari che correvano paralleli, di fronte a lui, nella rientranza. Doveva trattarsi di una stazione sotterranea. Voltatosi d’istinto, irritato dalla tremula luce artificiale, vide alle sue spalle un cartello azzurro di metallo, impresso con una scritta bianca: Montesanto.
In quello stesso istante udì in lontananza, nella profondità, l’appressarsi di un convoglio alla stazione, accompagnato da un avviso acustico di breve intensità. In mezzo alla folla in attesa, radunata dietro la striscia gialla di mattonelle sul pavimento, si stagliava la figura di un uomo che indossava un chitone azzurro, lacero. Calzava un paio di sandali impolverati, e sembrava farsi largo a disagio nella moltitudine che lo circondava, ignorandolo. L’uomo, dopo essersi affrancato dalla morsa della calca, fece improvvisamente due passi verso la sporgenza del marciapiede. All’ingresso del treno a tutta velocità nella stazione, strali di fluido nerastro si riversarono sui blocchi che delimitavano la piattaforma opposta, trascinati in una traiettoria semicircolare dalla testa mozza di Ha-Nozri, schizzata con un repentino movimento, trasverso e ascendente, dalle rotaie lanciate del convoglio, fino a rotolare tutt’intera sul marciapiede. Tra i binari, brandelli dispersi di un corpo acefalo facevano mostra di sé.
M., immobile, tentò allora di sottrarsi al viluppo inestricabile di immagini che convergevano ai suoi neuroni, come una molla che, sottoposta ad una forza elastica, dopo aver raggiunto la massima elongazione, ritorna per gradi su se stessa vibrando fino a raggiungere, alla fine, lo stato di quiete. Pensieri fuorvianti, frasi meccaniche… “Dall’Ermolaevskij alla Bronnaja, svolta per Montesanto. Il tornello, il tornello… non puoi permettere che il tempo passi invano… il vuoto… la sveglia ticchetta, ticchetta… all’angolo c’è un uomo, poi capirai i fuochi azzurrognoli, di notte sulle rive, ed i pioppi ti terranno compagnia, e ti verrà voglia di guardare gli occhi bianchi sbarrati della gente… senza pupille… il paesaggio collinare immoto… i pastori… le bacche di mirto… Accorri! Su, su, sbrigati, verso gli stagni Patriarsie, e poi su, alle rive del Giordano.”
Le urla della folla lo ridestarono.
“What a surprise!
A look of terminal shock in your eyes.
Now things are really what they seem
No, this is no a bad dream.”